Datalogic: nata due volte<br> <i>di Vera Zamagni</i>

Datalogic: nata due volte<br> <i>di Vera Zamagni</i>

Datalogic: nata due volte
di Vera Zamagni

Il distretto meccanico bolognese in cui è fiorita Datalogic ha un’antica e composita origine. Già dal XV secolo la città di Bologna si era distinta in Europa per i suoi mulini, soprattutto quelli che filavano la seta, che erano mirabile sintesi di saperi tecnici e abilità artigianali. Basti pensare alla ruota a cassetti che, mossa da energia idraulica, metteva in moto un meccanismo che faceva ruotare all’unisono centinaia di rocchetti. La più antica università del mondo diffondeva il gusto per lo studio e l’innovazione e una felice posizione in un’area di agricoltura avanzata e di intensi traffici sosteneva le attività manifatturiere. Quando alla fine del Settecento la remunerativa manifattura della seta, per la quale Bologna era diventata famosa in tutta Europa, declinò, non fu facile imboccare strade nuove e per qualche decennio la città visse dell’eredità del passato. Il suo genio meccanico non tardò però a riproporsi, anche per merito di una scuola-officina – l’Aldini Valeriani, fondata alla metà dell’Ottocento – che aveva a cuore la preparazione di tecnici e divenne la fucina da cui uscirono molti piccoli imprenditori. Si iniziò a fine Ottocento con la produzione di macchine per la lavorazione di prodotti agricoli e alimentari, ma fu negli anni 1920 che vennero individuati nuovi settori di successo: le moto, le automobili, i trattori, le macchine per l’impacchettamento, le radio, gli ascensori, le macchine utensili, le parti di macchine e di meccanismi vari. Da subito fu chiaro che il talento dei meccanici bolognesi era quello di lavorare creativamente su prodotti specializzati che non avrebbero mai raggiunto la scala fordista di produzione, o per le caratteristiche intrinseche del prodotto – una macchina utensile si deve adattare al suo utilizzatore e va “personalizzata” – o per scelta: le automobili di Enzo Ferrari (nate a Bologna e in seguito trasferitesi nel vicino modenese) erano costruite come pezzi unici. Ciò comportava grandi capacità creative e di flessibilità, che pescavano nel reservoir di un artigianato versatile legato alle passate glorie manifatturiere bolognesi.

Si radicò così nel bolognese una nuova meccanica che, dopo i gravi danni della II guerra, fu pronta a ripartire con il treno del miracolo economico. Fu un boom economico senza precedenti, le imprese si moltiplicarono e si ingrandirono, mentre si delineava su tutte una linea produttiva vincente, quella del packaging. Prima della moderna rivoluzione dei consumi, le merci venivano vendute per lo più “sfuse”, spesso in contenitori portati al negozio dal cliente. Ma l’igiene e la praticità, oltre che il libero servizio nei supermercati, imponevano il prodotto confezionato e le opportunità per chi creava macchine per l’impacchettamento si allargarono a dismisura. Nacque dunque un fitto reticolo di aziende super specializzate e in stretti rapporti fra di loro, che si sostenevano a vicenda nel creare prodotti di qualità, valorizzando la professionalità dei dipendenti e mettendo la soddisfazione del cliente al primo posto. E’ questo il modello di “distretto” tanto studiato dalla letteratura economica, non solo italiana, dove i saperi sono condivisi e circolano in maniera virtuosa. L’impresa restava ancorata alla famiglia del fondatore, perché era un contenitore adeguato per tale stadio di sviluppo della meccanica bolognese, abituata da sempre ad esportare all’estero.

E’ questo il contesto in cui nacque Datalogic nei primi anni ’70, quando con la rivoluzione elettronica che si stava facendo largo fu chiaro che molti di questi macchinari, basati su complicati ingranaggi meccanici che risalivano niente di meno che agli orologi medioevali, si sarebbero assai avvantaggiati dall’introduzione di controlli ottici elettronici, che permettevano di elevare di molto la qualità del prodotto. Si noti che fu la “massa critica” di imprese meccaniche esistenti nel bolognese ad offrire il primo ricco e qualificato mercato per un’idea imprenditoriale come quella del fondatore di Datalogic. Il passaggio da questi primi controlli ottici-elettronici, per le macchine del packaging, a sistemi per la lettura dei codici a barre fu quasi inevitabile, perché quello era un altro dei ricchi mercati che si profilavano, per i lettori ottici elettronici, nel momento in cui anche la distribuzione commerciale in Italia si convertiva sempre di più al supermercato, all’ipermercato e al grande magazzino e le cooperative del settore, soprattutto le emiliane e le toscane, divennero leader. Ma molti altri furono i campi di applicazione dei lettori di codici a barre, dalle poste ai corrieri, dalla logistica alla movimentazione dei bagagli negli aeroporti. Nata dunque per servire il packaging, Datalogic sviluppò aree di attività più vaste e questo la proiettò ancora più fortemente sull’estero, non solo per esportare, come facevano le altre imprese bolognesi, ma per scambiare tecnologia con le imprese dei paesi più avanzati - Germania, Giappone e soprattutto Stati Uniti - dove vennero aperte filiali e acquisite imprese.

Intanto la parola d’ordine dei mercati senza frontiere era diventata internazionalizzazione, ossia la capacità di presidiare mercati a livello globale attraverso una rete di impianti e agenzie commerciali distribuita in tutto il mondo. Anche se la nicchia produttiva non era grande, come nel caso delle specializzazioni bolognesi, non bastava più produrre solo a Bologna. Nei distretti non furono molti in grado di fare questo salto e Datalogicè stata una delle imprese che ci è riuscita, facendo leva sulla sua precoce presenza all’estero. Non si è trattato di un salto facile per imprese fortemente radicate sul territorio, abituate più a parlare in dialetto che in italiano, ma soprattutto non si è trattato di un salto facile quando si è dovuto mettere mano alla governance dell’impresa.

In Datalogic fu all’inizio degli anni 1990 che ci si rese conto del problema e scattò un’operazione di managerializzazione del gruppo, accompagnata da un’osmosi sempre più attenta fra dirigenti delle varie aree geografiche. E’ ben noto in letteratura che la trasformazione di un’impresa famigliare in un’impresa manageriale, in cui la proprietà ha ancora un ruolo da svolgere ma le attività quotidiane sono poste in capo a managers, non è affatto facile. La resistenza del proprietario-fondatore a cedere importanti quote di potere decisionale è elevata, mentre la disponibilità di managers di buona qualità che gestiscano un ambiente di lavoro molto più collaborativo e orizzontale di quello delle grandi multinazionali a forte gerarchia verticale non è diffusa. Ma senza questo cambiamento è impossibile crescere, anzi, è impossibile resistere in settori avanzati come quello in cui è attiva Datalogic. In questo modo, Datalogicè diventata una delle aziende italiane che appartengono al cosiddetto “Quarto capitalismo”, che denota la fase del capitalismo italiano successiva a quello storico di Fiat, Pirelli, Alfa Romeo e simili, a quello di Stato dell’IRI e dell’ENI e a quello dei distretti industriali. In questa fase, si assiste al consolidamento di alcune piccole imprese che diventano medie e si internazionalizzano, assumendo la forma di “multinazionali tascabili”, altra espressione di grande successo, e diventando leader mondiali nei loro settori di specializzazione.

Si può dunque dire che Datalogic sia nata per la seconda volta, sempre ad opera del medesimo fondatore, che una prima volta l’ha saputa direzionare in un settore di attività in grande espansione e la seconda volta le ha cambiato la forma organizzativa in modo da permetterle di continuare, anzi accelerare, la sua crescita nel nuovo contesto internazionale che si è venuto a creare.

E tutto questo non nell’alimentare, nel fashion, o nella meccanica di precisione - che per storia, cultura, tradizione, sono settori di eccellenza del made in Italy - bensì nell’elettronica dove solitamente i players sembrano ormai poter essere solo americani, giapponesi, asiatici. Invece, gli imprenditori italiani possono eccellere anche nell’alta tecnologia elettronica, purché vengano adottate le strategie giuste e soprattutto coerenti col nuovo mercato globale/internazionale.

Sono imprese come Datalogic che potranno garantire il futuro dell’Italia, stratificando i distretti industriali e dando loro una dimensione internazionale ormai irrinunciabile.

In un’Italia in cui la grande corporation ha scarse chance di attecchire, per ragioni storiche ed ideali, la carta vincente per il futuro dell’industria è proprio quella delle medie imprese di alta qualità tecnica e organizzativa.

Che poi possono diventare  grandi: Datalogic può servire di esempio.

di Vera Zamagni
Università di Bologna

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